Psicologia ospedaliera

I rapporti umani, come cambiano con il coronavirus?

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In questi giorni difficili molte sono le sollecitazioni che vengono alla mente, sia per l’unicità del momento che stiamo vivendo, che per la dimensione intimistica a cui siamo chiamati tutti nel restare tra le mura domestiche.

Una delle immagini che è accorsa alla mia mente, fin dall’inizio di questa quarantena, è stata quella della Galleria Borbonica di Napoli, dove durante la Seconda Guerra mondiale alcuni ambienti sotterranei furono adoperati e allestiti come rifugio antiaereo, elettrificati e forniti di brandine, arnesi da cucina e una serie di latrine. Poteva accadere che nel ricovero antiaereo i napoletani rimanessero anche per molti giorni, costretti a precarie condizioni igieniche e ad un ridotto spazio vitale.

Parallelamente mi è stato facile immaginare la dimensione, non solo restrittiva, ma anche di socialità che si veniva a creare in quei momenti di forte angoscia. Lo stare insieme come strumento per superare la paura della morte e rafforzare la speranza.

Una sfida diversa invece è quella che ci pone la pandemia di Covid-19 che, pur suscitando la stessa angoscia di morte di un conflitto bellico, richiede il massimo isolamento e proibisce l’alimentarsi di quella dimensione relazionale di cui ha tanto bisogno l’essere umano.

L’ “altro”, il familiare, l’amico di sempre, viene vissuto come possibile fonte di contagio o pericolo. Anche nei contesti di cura, come gli ospedali, in cui si è soliti sperimentare la creazione di una dimensione di colleganza quasi familiare nei momenti di forte sofferenza, non è possibile mantenere rapporti di vicinanza, anche in previsione di un exitus inevitabile.

Credo che questa sia l’angoscia più profonda che si muove dentro ognuno di noi di fronte a questa epidemia senza precedenti: lo spogliarsi di quella dimensione sensoriale e relazionale che accompagna fin dalla nascita le nostre vite. Nell’era del digitale, seppur la tecnologia aiuta nel sentirsi vicini, ancora una volta si ha dimostrazione dell’importanza dei contatti umani nella loro espressione più naturale.

Così l’abbraccio “negato” si manifesta nel testo di una canzone che viene condivisa a più voci sui balconi, simbolo della colleganza e ponte tra il dentro, quello della propria casa, della propria intimità e il fuori, quello della relazione con l’altro.

Winnicott, un noto pediatra e psicoanalista inglese, descriveva l’importanza per lo sviluppo psichico dell’individuo della “capacità di essere soli”. Questa tappa dello sviluppo è garantita dalla presenza di un adulto “sufficientemente buono” e premuroso che assicura la sua presenza e permette di interiorizzare la presenza anche in assenza. La capacità di stare da soli è la condizione basilare per relazionarsi, è un indice importante della qualità delle nostre relazioni. Ed è da questa capacità che nasce una delle più belle caratteristiche dell’essere umano: la creatività.

Credo che questo momento storico richieda proprio il rafforzamento di questa capacità, così come sta già avvenendo. Scoprire modi nuovi e creativi di vivere la propria casa e la propria quotidianità, in un contatto più intimo con se stessi, nell’attesa di ritornare nuovamente a intessere e godere di relazioni dirette e non più filtrate da strumentazioni tecnologiche.

 

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